Anche se
di solito i Consigli comunali approvano senza patemi il principio
della videosorveglianza, capita che in alcuni Paesi si accendano le
telecamere senza aspettare la luce verde del Legislativo. È successo
per esempio a Bissone, dove il Municipio l’anno scorso ha attivato un
sistema al lido nonostante il regolamento fosse stato bocciato, o più
recentemente a Magliaso, dove sono state posizionate tre telecamere
all’ecocentro senza nemmeno interpellare il CC.
L’uomo di vetro
Il caso
di Magliaso offre uno spunto legato al dibattito di fondo sulla
videosorveglianza, che vede la necessità da un lato di migliorare la
sicurezza o l’ordine pubblico, dall’altro di garantire la privacy.
Sollecitato da un’interrogazione di Luca Paltenghi, Daniele Bernasconi,
Marco Burkhard e Paola De Gaudenzi, il Municipio ha spiegato di aver
ritenuto prioritaria innanzitutto la protezione della propria struttura,
che in quattro anni e mezzo le immagini registrate sono state
visionate solo quattro o cinque volte per risalire ai responsabili di
scorrettezze e che «nessuno, perlomeno chi non ha nulla da
rimproverarsi, si è lamentato delle telecamere». L’ultimo – chi non ha
nulla da nascondere non deve temere – è un argomento usato non di rado
dai sostenitori della videosorveglianza, ma Albertini lo ritiene molto
imprudente e lancia un appello. «Dicendo così – spiega il mister dati
ticinese – si legittima o si autorizza di fatto chiunque a fare quello
che vuole con le telecamere o altri sistemi di controllo, invece è
importante che il cittadino sappia sempre valutare criticamente cosa è
tollerabile e cosa no, cosa qualcun altro può fare con i dati che lo
riguardano. Ricordiamoci che questa frase ha un’origine inquietante: è
un po’ la riflessione che facevano i regimi totalitari quando chiedevano
alla popolazione di essere molto trasparente nei loro confronti,
facendo passare l’idea che chi non lo faceva era un cattivo cittadino.
Da qui è poi nata la metafora dell’uomo di vetro».
Dal Corriere del Ticino del 24 marzo 2014